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Neurodiversità in pratica, vol. I

Un mio ricamo, appeso sopra la scrivania, che riporta un pezzo di "Belal ciao delle mondine": "Ma verrà un giorno, che tutte quante, lavoreremo in libertà".

Se non ti va di leggere questo articolo, puoi ascoltarlo.
Non sono una lettrice ad alta voce professionista, mi scapperà qualche papera e devo ancora trovare gli strumenti giusti.
Ma sto con quello che c’è. E spero possa esserti utile.

Abbiamo visto come funziona la neurodiversità al lavoro, in teoria.
Ora mettiamo la neurodiversità in pratica.

In questo articolo voglio provare a proporre strategie differenti che tengano conto della neurovarietà umana. Buone pratiche e possibilità che potrebbero, con un minimo investimento in termini economici e di sforzo, cambiare, in meglio, il modo di lavorare di ognuna e ognuno di noi.

Siamo tutte neurodiverse, neurodiversi, neurodiversə.
E questo, sul lavoro, può essere un’occasione magnifica per sperimentare. E crescere (anche nel fatturato).

Per essere concreta, ho immaginato situazioni reali che si affrontano in un contesto lavorativo e ho riordinato le buone pratiche che ho sperimentato in base al contesto. Nulla osta di provare le stesse strategie in contesti differenti, mischiarle, sommarle: in fondo, la varietà, non può essere categorizzata all’infinito e nemmeno le vie che possiamo utilizzare per starci insieme. E bene.

Il nostro ufficio

Partiamo dallo spazio. Spesso le persone autistiche e ADHD recepiscono molti stimoli visivi e ambientali che sequestrano la loro attenzione (rumori, luci forti, elementi di arredo, materiali particolari: una mia cliente ADHD ad esempio non può vedere il velluto. E indovina di che stoffa era il vestito che ho messo a una delle nostre prime call?).

Questi stimoli vengono recepiti in maniera più o meno intensa e provocano delle risposte fisiche anche importanti. Provocano delle risposte fisiche su cui non si ha il controllo (la mia cliente, ad esempio, iniziava ad avvertire un fortissimo mal di pancia, solo a vedere il mio velluto).

Neurodiversità, in pratica

Quindi possiamo creare un ambiente adatto alla neurodiversità quando:

  • eliminiamo le fonti di stimoli ambientali troppo forti (luci, possibilità di tenere chiuse le finestre, elementi di arredo neutri)
  • teniamo uno spazio in ordine, riducendo al minimo gli oggetti in vista (e la curiosità che deriva dal vedere tante cose in giro)
  • procuriamo alcuni strumenti che potrebbero aiutare le persone che ne hanno bisogno (cuffie anti rumore, tende oscuranti in caso di luce molto forte, tappi per le orecchie).

Durante le riunioni

Quanto tempo passiamo al lavoro, in riunione? Molto, a volte anche troppo. Possono essere vissute come momenti frustranti, disorganizzati, lunghi periodi fiume che mangiano e rubano tempo alle “vere cose da fare”. O come momenti di condivisione, in cui rivedersi, confrontarsi, fare relazione.

Molte persone neurodivergenti o ansiose, traggono grande vantaggio dall’aver chiaro il contesto, gli obiettivi e le prassi: dire cosa faremo, quando e come, e ripeterlo durante la riunione, è un modo che aiuta a gestire l’ignoto. E l’ignoto in qualche modo scatena un vissuto complesso che potrebbe, se non “risolto”, impedire a molte persone di partecipare in serenità o quanto meno facilmente.

Anche il setting della riunione potrebbe essere faticoso per tutte quelle persone che, per tenere accesa l’attenzione, hanno bisogno di muoversi per imparare e concentrarsi.

Neurodiversità, in pratica

Qualsiasi tipo di riunione tu stia organizzando, potresti aumentarne l’efficacia con queste strategie:

  • fare chiarezza sugli orari, gli obiettivi e gli argomenti. E ci farà arrivare alla riunione con le idee già chiare, pronte all’uso
  • sperimentare modi diversi di tenuta della riunione. Le riunioni in piedi o in spazi all’aperto (che non siano troppo rumorosi o stimolanti) potrebbero aiutare la concentrazione e anche la concisione
  • cambiare orario in base alle esigenze del team. I nostri cronotipi sono molto diversi e cambiare di qualche ora gli orari delle riunioni può essere un buon modo per andare incontro ai ritmi naturali di ogni persona coinvolta. Ricordo la meraviglia di scoprire che potevo organizzare delle riunioni di brainstorming verso sera, quando io sono più creativa (e stanca) e l’altra persona pure, invece di fissare la solita riunione alle 10 del mattino: cambiare orario ci ha permesso di avere le energie e l’attenzione giusta per la nostra attività.

Comunicazione, non solo scritta

Siamo tutte persone neurodiverse a modo nostro ma la comunicazione efficace funziona bene un po’ per tutte. Più conosco persone che se ne occupano e la promuovono, più mi rendo conto di come sia una competenza che possiamo davvero allenare per cambiare l’efficienza delle nostre comunicazioni. E quindi delle relazioni che ne derivano.

Il principio più importante è quasi banale: comunicare non vuol dire lasciare tutto lo sforzo a chi riceve la comunicazione. Ecco perché più conosci bene le persone a cui scriverai, più potrai pensare a una scrittura che sia per loro semplice, chiara, comprensibile.

Scrivere, però, non è l’unico modo che abbiamo di comunicare, anzi. Audio e video, grazie agli smartphone, sono diventati strumenti che possono aiutare tutte le persone “visive” a recepire più facilmente la comunicazione. Non servono audio o video di qualità cinematografica, spesso bastano strumenti già in nostro possesso per ottenere dei risultati adatti. In questo modo si agevola la comunicazione non solo per persone che preferiscono la dimensione visuale (autistiche e dislessiche) ma anche per chi ha necessità di nutrire e incanalare la propria attenzione (ADHD).

Neurodiversità, in pratica

Proviamo, quindi, a dare una forma nuova alle parole:

  • potrebbero diventare immagini, disegni o audio. Un bel report della riunione da sentire come fosse un vocale, oppure una mappa con le idee emerse dai brainstorming, con link a canzoni, video o immagini che aiutino a raccogliere gli stimoli
  • potrebbero essere accompagnate da video, audio. In modo da poter lasciare a chi legge la possibilità di scegliere il canale che preferisce
  • potrebbero diventare sketchnote. Questa possibilità è davvero interessante da esplorare perché permette a tutte le persone visuali di avere un materiale immediato e semplice che sostituisca la dimensione scritta della parola, vissuta come ostica e complessa.

Neurodiversità, in pratica (la mia)

Questi sono i primi tre contesti in cui ho provato a presentare alternative differenti che tengono maggiormente conto della neurodiversità in cui ci muoviamo, abitiamo e lavoriamo.

Una buona pratica, con cui concludere, è provare a esplorare con il proprio team cosa funziona meglio per loro: creare uno spazio sicuro di dialogo è forse il primo passo, e spesso il più faticoso. Eppure è dalle persone che tutto nasce. I cambiamenti che servono sono quelli che emergono dalle persone coinvolte. È da loro che bisogna partire e ritornare, in un confronto continuo e periodico.

Se vuoi approfondire il tema della neurodiversità e della neurodivergenza puoi:

Nel prossimo articolo, che uscirà a settembre 2024, ho raccolto ancora qualche buona pratica: le comunicazioni semplici, concise, funzionano meglio e, come puoi vedere, su questo posso sempre tanto migliorare.

Se hai in mente strategie, buone pratiche o commenti e ti va di condividerli con me, puoi scrivermi su LinkedIn oppure via mail a info@saracremaschi.com
Ti ascolterò a orecchie e cuore aperto.

Che tu possa riconoscere cosa funziona per te,
e trovare un modo per stare bene.
Anche al lavoro.

Io sono Sara Cremaschi, la tua assistente virtuale mindful.
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Se vuoi sapere cosa posso fare per te e come, seguimi su LinkedIn.